Le mucche appena sotto di noi si fanno solo sentire, devono essere impegnate a giocare a nascondino fra i larici e gli abeti, ma di sicuro, chi fa la conta le troverà subito, fra campanacci e muggiti fragorosi. Le immagino, continuando a camminare con l’attenzione rivolta ai piedi. Osservo quello che mi sta davanti a qualche metro, perché il terreno è scivoloso. Uno spesso strato di fango infido e scuro, infatti, ospita il sentiero che si snoda in costa ai piedi del Pelmo e sul quale io e mia moglie Rebecca ci cimentiamo in numeri da equilibristi. Appena sopra il sentiero una linea di sorgenti rende liquide le argille sulle quali si radica il bosco. Piccole colate di fango hanno trascinato qua e là la traccia più in basso e piccoli ponticcioli di legno permettono il passaggio sopra i canalini scavati dalle piogge.
D’un tratto, a fianco del sentiero riconosciamo un cespo di corallo fossile grande quasi mezzo metro cubo. In questa fascia di territorio affiorano rocce che raccontano la storia dell’arcipelago tropicale dolomitico prima che scomparisse per sempre. Possiamo capirlo solo perché, preso dalla stanchezza mi son seduto a riposare… e fermandomi ho guardato! È la pausa che regala l’incontro, la pausa dal forsennato seguire una meta. In pratica, nel lavoro e nella quotidianità questa ricerca non smette mai; qui invece la pausa fa parte della natura.
Questo cespo di corallo si è fossilizzato in fondo al mare, in prossimità delle scarpate sottomarine che, se risalite, avrebbero portato al livello del mare, su atolli e scogliere. In questo momento, verso la fine del Triassico i fondali si erano differenziati, e, dopo scuotimenti tettonici ed eruzioni vulcaniche, la miriade di forme di vita che lo popolavano erano evolute. A volte, come nel caso dei coralli, l’evoluzione era già andata verso forme simili a quelle presenti oggi, nel mondo attuale. Infatti, il cespo su cui poggio regalmente il sedere è perfetto, simile a quelli che si vedono nel Mar Rosso o nel Mar dei Caraibi, solo che questo è cresciuto circa 215 milioni di anni fa nel Mare della Tetide, ed ha avuto la fortuna di conservarsi nelle rocce. Ora tutto è montagna: le Dolomiti!
Così, comodo ed appoggiato su questi incommensurabili spazi, guardo mia moglie e dico: “zaino e scarponi mentre tocco una cosa da pinne, maschere e boccaglio!”. Lei, di discendenza sarda ed amante del mare attuale, mi risponde: “se torno indietro, con il cavolo che risposo un Geologo!”. Ripartiamo nel silenzio, poco dopo mi giro e la vedo intenta a togliersi gli scarponi. Li lega allo zaino e procede scalza. I piedi scalzi sui resti del mare della Tetide la fanno giungere dove l’aspetto. Da questo punto vediamo il Pelmo e la Civetta nella loro interezza. Mi bacia e dice: “Belle queste montagne fatte di mare e cielo”. Il sudore aveva raggiunto anche la sua bocca rendendola salata… per un attimo ho avuto voglia di mare anch’io.
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Bellissimo resoconto di quello che ho vissuto durante la mia tesi di laurea in Sc. Geologiche (Il gruppo del Cernera, 1993 – Università di Ferrara). Quella era la vera GEOLOGIA, non le varie prove penetrometriche con cui si “tira a campare” nel polesine e nella piana padana….Ricordo anch’io una serie di coralli fossili lungo le piste da sci che portano dal Col dei Baldi, nei pressi del Monte Crot, a S.Fosca, se non sbaglio….. Grandi dolomiti….. ricordo con piacere il versante nord della Val Fiorentina con il Mondeval che, con i suoi depositi ialoclastitici, se non erro, si “corica” in “on lap” sulla piattaforma carbonatica del Monte Cernera…. che gioia, sono ringiovanito di 20 anni…. grazie..
sono contento Simone che le emozioni continuino a legarsi attraverso questo blog per certi versi un po’ sperimentale. fra le tue righe emerge una forte passione che per “simbiosi paesaggistica” appartiene all’estetica delle Dolomiti. Quella che hai passeggiato è la Memoria della Terra. Continua a diffondere per contagiare…. Iscriviti alla news letter. GRAZIE!!!!