Nelle sere di un tempo non lontano, terminato con l’avvento della televisione, dopo aver finito il lavoro e aver mangiato la polenta, compagnie di giovani delle nostre vallate si radunavano in stùa, nei fienili o nelle stalle, o attorno ai foghér delle famiglie disposte ad accettarli, per fare conversazione, filò, con le ragazze. Raccontavano barzellette, giocavano a carte, cantavano e suonavano. Le donne lavoravano a maglia, facevano scarpét, raccontavano fiabe, leggende, indovinelli, filastrocche, orazioni. Gli uomini facevano lavori leggeri con le mani, parlavano di animali, lavoro e famiglia, raccontavano di scherzi, di guerra e di emigrazione. La nonna filava lana e stoppa. Arrivavano anche viandanti, merciai, che portavano notizie dagli altri paesi: si offriva da mangiare e da bere e tutti si sedevano attorno al fuoco.
Allora si raccontavano le proprie storie, sospese tra ricordi e leggende, arricchite da filastrocche e proverbi, ma anche da strani scongiuri, preghiere recitate in “latinorum” e canzoni popolari. Racconti, ricordi e canzoni contribuivano alla trasmissione della tradizione orale, mentre la cultura materiale passava attraverso i lavori che si facevano attorno al fuoco.
Quando capitava un ambulante, portava, oltre alle sue merci, notizie dagli altri paesi.
Fino agli anni ’50 giravano per il Veneto i “torototela”, dei poveri cantastorie che si accompagnavano con uno strano e monotono strumento, costituito da una zucca vuota, una canna e una corda tesa.
I “contafole” ripetevano schemi e tematiche noti in tutto il mondo, ma incantavano i loro ascoltatori così come i bambini vogliono sentir ripetere sempre la stessa fiaba…
Racconta un’anziana signora che abitava in campagna:
“Ghe gera dei girovaghi che ndava co le cassele su le spale, i vendeva fili, botoni, aghi, lamete; el Piero Roseto vegniva la vizilia de nadal – el stava magari do tre dì a dormir, la sera el se meteva e el ne contava la storia de la vizilia de nadal. Se ben che l’aveva contada tante volte, noialtri se godeva sentir sta storia, perché el fasea tuti i sesti come che el fusse na marioneta.”
Questo scambio continuo tra dentro e fuori, sottolineato dalla presenza di finestre sulle pareti del foghér, rappresenta la funzione socio-culturale del larìn che spesso sporgeva dal corpo della casa: attorno al fuoco si rendevano solidi i rapporti all’interno della comunità.
Il filò cominciava verso novembre e finiva a marzo quando la primavera bussava alle porte.
Pensate a quanto emozionante sarebbe al giorno d’oggi, tornare a sedersi sulla panche del larìn e scambiarsi saperi, scàmpoli d’immaginario, raccontare storie che fanno trepidare, che fanno sognare, che fanno paura, che fanno ridere…perché no?
Un’esperienza antica non ancora scomparsa in Val di Zoldo, che rivive grazie ai filo filò dell’Associazione Mont de Vie.
Contattaci per scoprire cosa ci racconteranno nelle serate zoldane i nostri moderni cantastorie!
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