Il foghèr vien dal fogo… L’inverno in montagna seppur suggestivo e incantevole, è davvero gelido. Lo sanno bene i nostri nonni, i più anziani abitanti delle valli dolomitiche, che lo impararono quando ancora il riscaldamento a pavimento non c’era, i caloriferi erano un lusso forse per pochi e le termocoperte non erano ancora state inventate. Le abitazioni, il più delle volte in pietra, isolavano il più possibile la casa dal freddo, ma spesso le stanze erano molte per ospitare famiglie numerose ed il calore non riusciva a raggiungerle. Il punto centrale dove si individuava il nucleo più accogliente dell’intera casa, era lo spazio dai mille usi e funzioni: il foghèr.
Il foghèr è composto dal larìn, la pietra dove veniva acceso il fuoco, da una grande cappa (la nàpa, molto spesso abbellita da un ricamo) e dalla panca di legno che cinge il focolare (la banca). Era l’anima della casa, dove si cucinava nel cauderìn di rame la polenta, dove la sera la famiglia si raccoglieva a parlare della giornata, a raccontarsi storie e leggende, a fare la maglia o a descosolà i fasùoi (sbucciare i fagioli). Rappresentava un momento magico, quello che concludeva la giornata e che raccoglieva le diverse generazioni attorno allo stesso focolare, dove si praticava l’ascolto e la parola veniva santificata.
Mai sta de bant, nianca sentai sun foghèr (mai stare con le mani in mano, neanche seduti accanto al focolare)! Quindi abbiano inizio i racconti di paura per i bambini, il ricamo e la maglia per le nonne.
Oggi, in molte abitazioni della Val di Zoldo possiamo trovare un antico foghèr, ancora avvolto dall’atmosfera di intimità e di accoglienza, ancora impregnato dei ricordi della famiglia che lo possedeva.
Guardo con nostalgia nella casa dei miei nonni il posto in cui c’era, ancora oggi luogo d’incontro per i cenoni di Natale e Capodanno. Immagino le fiabe intorno al fuoco, lo stupore dipinto sui piccoli visi. Oppure gli aneddoti, i discorsi, addirittura i pensieri che dimorano nel cuore dei giovani e degli anziani della casa. Alcuni luoghi dell’anima non scompaiono mai.
Questa sera anche se siamo già entrati in primavera, posiziono qualche legno al centro del larin e mi appresto all’accensione. Fuori è freddo, dalle montagne si abbassa quella velatura di quando sta per nevicare. Ecco il fuoco…. che si riprende lo spazio abitato nei secoli chissà quante altre volte prima di ora.
Apro un libro, mentre i fischi della legna che arde e i crepitii aumentano d’intensità, la luce della fiamma inizia a ballare nella stanza confondendomi, fuori non è del tutto buio e cadono, trasportate dal vento, fulische bianche di neve… quest’anno la neve fa fatica ad abbandonare le belle Dolomiti di Zoldo, vuole continuare ad abbracciarle… il calore del foghèr è ancora attuale, ed io abbraccio lui.
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Bellissimo racconto!
Obrigada Angelo!