Sapienti pittori, artisti straordinari hanno cercato di cogliere l’anima del bosco, il suo respiro segreto e nascosto, lo spirito di tutti i suoi abitanti.
Certi lo hanno raffigurato come il regno della natura per eccellenza, come se rappresentasse l’infinito, l’immortalità, il ciclo continuo tra vitalità e decadenza, tra primavera e autunno. Il bosco è forse una delle poche cose che sa esprimere vita e speranza anche mentre le sue foglie cadono inesorabili.
O ancora, hanno associato al bosco il concetto di sublime. E cos’è il sublime se non la vertigine, l’irrefrenabile spinta a volersi addentrare, ma allo stesso tempo paura che il bosco ti possa inghiottire?
Il bosco è una dimensione di insieme, l’unione di diversi mondi, vegetale, animale, minerale… riassunti in una naturale armonia, è un mondo nel mondo, un microcosmo, come il mare. “Sono sempre più innamorato dei boschi” confessa Merino, mentre mi racconta la sua preziosa collezione, la sua galleria d’arte fatta di bosco. Mi spiega che ogni legno ha la sua funzione, il suo carattere, serve all’uomo per fare qualcosa. La pagùoima (lantana) serviva ai nostri avi per costruire i zarlìn, le famose gerle portate sulle schiene delle donne di una volta. Prende dalla sua “catasta didattica” un campione di pagùima e me lo fa tastare: “senti come è morbida?” mi chiede, sembra gomma flessibile. 30 specie diverse di albero, tutte al servizio degli zoldani, e nel caso di Merino Mattiuzzi, degli zoppedini.
Un intero sistema da conservare e rispettare, da mettere in comunicazione persino col bambino più piccolo. Gli alberi educano, danno degli insegnamenti inaspettati e riescono addirittura a dispensare consolazione. “Qui ci sono tre esempi di sofferenza“, continua Merino, mostrandomi tre ceppi, tre creature del bosco deformi, dal fusto irregolare e contorto, ma allo stesso tempo forti e dignitose. Il bosco che sopravvive ai fulmini, alle tempeste, agli squarci sulla sua pelle è capace di rigenerarsi e trionfare sul dolore, come fanno le persone.
Incorniciata su una parete vedo la foto in bianco e nero della Regina dei Alberk, pianta maestosa che ha un posto speciale nel cuore di Merino. Il lares del Bèlo, il faggio dei Bidoch, sono pochi gli alberi centenari o addirittura millenari della Valle di Zoldo, con una storia incredibile e sconosciuta, impressa nei fusti ancora intatti di questi Re della foresta. Chissà quanti anelli! Sono talmente belli che possiamo rimanere con la tentazione di scoprirlo.
I boschi di Merino, così si chiamano, e con gli stessi occhi li dovremmo guardare. Sono alberi dai rami intrecciati, sottoboschi accennati appena, cortecce sottili. Possono anche sembrare alberi in fiore, con il loro fogliame tridimensionale, dipende da cosa ci dice l’immaginazione. Merino li dipinge su carta, pietra, legno, grazie a una tecnica segreta nata da anni di sperimentazione. Li pittura persino su sacchettini contenenti piccole rondelle di legni diversi, pensate apposta per le scuole e per far apprendere ai bambini la differenza fra albero e albero.
Merino nella sua produzione artistica riprende il fenomeno geologico dei dendriti, l’effetto creato dalle infiltrazioni di manganese sulla roccia calcarea. In poche parole, si ispira alla “pennellata” di Madre Natura, che dipinge delicati boschi stilizzati su tele pietra, insomma proprio come fa Merino su diversi materiali.
Cammino nel bosco, sede paurosa del lupo nelle fiabe dei bambini, rifugio della volpe, casa del gufo, pertugio dei topi. Cerco di vederlo così come lo vede Merino, universale e riconoscibile in tutti i Paesi del mondo, da tutti i popoli dei boschi. IL bosco, uno solo, dai rami affusolati che si proiettano verso il cielo, proprio come nei grandi dipinti.
(Foto di Copertina: un bosco della Silvae Merini di Merino Mattiuzzi)
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seduto a sbalzo sulla valle, fra i mughi sull’erto versante sotto C.ra Darè Copada fra le Dolomiti di Zoldo, mi è capitato di pensare: quanto e cosa i boschi succhiano quotidianamente dalla terra su cui radicano… quanti esseri all’unisono in lenta e magica armonia si nutrono, scambiano, profondamente convivono. Estrattori di minerali da rocce e suoli in continua alterazione…. traggono nutrimento…. la quantità di minerali estratti dai suoli a livello globale, fa dei vegetali i principali estrattori minerari del mondo… emungendo però non cavano, non distruggono…. e in cambio emettono altre ricchezze gratuite a servizio della vita. Zoldo fa vedere cose che altrove non si vedono. Boschi magici carichi di potere e suggestioni dove la nostra anima prende nutrimento come gli alberi… dalla montagna. brava silvia bel post.
Sembra impossibile, ma tra me che sono in valle e la montagna vera e propria, quella fatta di roccia intendo, quella così vicina da poterla toccare, c’è un mondo intero, radure, antichi pascoli, resti di casere legate ai mestieri di un tempo, e soprattutto… boschi! Con tutti i suoi particolari!
Io penso sempre questo!