La mattina del 30 aprile, due Maestri gelatieri di Fornesighe e due dalla Villa, accompagnati da una di Fornesighe e una di Goima, sono partiti a far stagione: direzione Orvieto, in occasione della seconda edizione de I Gelati d’Italia. Una stagione strana, durata circa quattro giorni, e iniziata molto più tardi del normale, dal 1 al 4 maggio. Non hanno preso il Brennero, ma l’autostrada del Sole, con nel furgone pegnàte e cauderìn di rame, e una vecchia machina da fa al gelato. Non esattamente come i nostri avi di cent’anni fa, diciamo, col cuore sicuramente più leggero, ma con la stessa voglia di far bene la loro arte. Perché quella del gelato artigianale è un’arte vera e propria, basta sbagliare la dose di un ingrediente, non essere rapidi nell’arrotolare la cialda attorno allo stampo per i coni, qualche disattenzione durante la mantecazione, e la sinergia perfetta si può inceppare. I maestri gelatieri zoldani, grazie all’esperienza e al loro tocco unico, questo lo sanno, e per l’occasione hanno preparato il prodotto d’eccellenza che tutti ci ammirano.
La vaniglia (aromatizzata dalla famosa bacca nera della vaniglia), la fragola (fatta con le fragole), il pistacchio (ottenuto dal pistacchio, quindi dal colore simile a quello della nocciola, non verde eccessivamente brillante), la nocciola (caratterizzata dall’ingrediente della… nocciola!). Il segreto è appunto che non c’è un segreto, le materie prime utilizzate sono quelle naturali. Ma come un pittore parte dai colori primari, i gelatieri partono dalla frutta, dalle uova, dal latte, per creare qualcosa di mai visto e mai assaggiato prima. Lo hanno potuto dire anche i visitatori della manifestazione, coinvolti in un procedimento ormai abbandonato ma dal fascino sempre nuovo, la magia del gelato che si forma grazie alla forza delle proprie braccia, dallo spaccare il ghiaccio per raffreddare la miscela, al girare la manovella del mantecatore, finché la dolce amalgama non è pronta per essere trasferita nella sorbettiera, tiràda su, come si dice in Zoldo.
C’è chi in questi giorni ha potuto provare l’ebbrezza (e la fatica!) di far andare la manovella, chi ha semplicemente osservato la pasta della cialda trasformarsi in un cornetto croccante. Tutti hanno potuto gustare, attraverso la proiezione del film “Immersioni con gli scarponi”, che cosa i gelatieri di una volta (e i loro figli, in una storia di emigrazione partita circa da fine Ottocento) si dovevano spesso lasciare alle spalle per portare nel mondo la loro arte e scappare dalla fame dei paesi d’origine.
(il verde della Val di Zoldo – foto di Raffaele Russo)
“Ma l’era duto quant pì vèrt, pì vif, pì caut, pì davért” (trad. ma era tutto quanto più verde, più vivo, più caldo, più aperto), questo era allora ed è ancora adesso l’insùda (la primavera) e l’estate in Val di Zoldo, citando una canzone dei Ki Ke Sona (un gruppo rock zoldano), spesso anelate e per alcuni soltanto sognate durante le stagioni all’estero o in giro per l’Italia. Una bellezza che rimane nella memoria e può ispirare i gelati più buoni.
Cambiano le esigenze e le necessità, la mentalità della gente, ma la storia delle tradizioni e la purezza dell’ambiente naturale delle Dolomiti zoldane rimangono lì, pronte a stupire chi non aveva mai visto le montagne e i pascoli della Val di Zoldo, o non c’aveva mai pensato, che il gelato tempo fa fosse realizzato in questa maniera.
Se vi siete persi il gelato zoldano a Orvieto, dovete recuperare: venite a GelatiAmo a Dont, il 19 e il 20 luglio. I nostri maestri gelatieri vi mostreranno tra Pelmo e Civetta, come si faceva il gelato una volta.
Per maggiori informazioni: http://www.valdizoldo.net/gelatiamo.html
Sulla storia del gelato: www.gelatomuseum.com
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