C’è il vento oggi sulla cima della Moiazza, e continua a muovere il cielo in un gioco di luci. La cengia delle sorprese di fatto si percorre, mi porta di fianco alla copiosa e fragorosa cascata. Ancora meglio… vedo che là in fondo, si restringe, ma continua… rendendo possibile il passo anche sotto la cascata. Scorgo un arrugginito e vecchio cordino, chiodato da qualcuno che voleva rendere sicuro il passaggio. Vado, ancora, pro-cedo, appendendomi con le mani al cavo. La roccia bagnata è ricoperta da una sottile patina scivolosa e gli scarponi in appoggio non obbediscono più al piede. Cambia il vento e all’improvviso la curva liquida dovuta al rovesciarsi dell’acqua sulle rocce si schiaccia verso di me, mi trovo di colpo inzuppato da una moltitudine di goccioline finissime e fredde.
Impossibile controllare un moto improvviso di inspirazione ed espirazione, un profondo sospiro, con relativo aumento del battito cardiaco, tutto dovuto al semplice (ma magico) contatto dell’acqua con la pelle. In qualche modo mi ristoro e passo oltre. Il sentiero si fa più netto, collegandomi a quello che porta al Bivacco Grisetti posto all’imbocco del Vant de la Moiazza.
Continuo e lo raggiungo. Qua in alto la fantasia è liberata dall’emozione che viene dal confronto con la bellezza e rifletto sul nome: VANT.
Il vant nello zoldano era uno degli attrezzi legati alla tradizione agricola: il ventilabro, che serviva a ventilare il grano e altri cereali. Il prezioso raccolto, con il suo carico di impurità, veniva contenuto in quest’intreccio concavo e fatto saltare in cielo. Così, i chicchi potevano essere accarezzati dal vento che portava con se le impurità, più leggere e volatili.
Guardando questa meravigliosa conca, così effettivamente simile al vant, circondata dalle verticalità calcaree della Moiazza, mi vien facile immaginare uno dei Giganti dolomitici intento a setacciare gli enormi massi ora disseminati qua e là, fra fiori ed erbe d’alta quota. Chissà che farine facevano i Giganti con i sassi della Moiazza? Veniva un pane duro o morbido? Quanto doveva cuocere? Sarebbe stato commestibile per noi umani? Tutte domande che mi accompagnano mentre il riposo si impossessa di me, disteso sugli spazi fatati di questo luogo.
Una città di pietra, in rovina, si distribuisce attorno a me, mi circonda. Le rovine ci sospendono emotivamente perchè non ci danno indicazioni capaci di rassicurarci nella nostra costante ricerca di un riferimento temporale…. certo, riguardano il passato, ma di quale preciso momento? Chi erano i Giganti che abitarono gli edifici della città di pietre dolomitica prima del loro inesorabile sgretolarsi? Il mistero abbraccia queste rovine rendendole dannatamente affascinanti. Queste rovine stuzzicano in modo unico l’immaginazione proprio perchè destrutturano emotivamente, accompagnano in un’esperienza creativa che avviene solo attraversandole, a piedi, o distendendosi fra loro.
Mi addormento, lasciando l’acqua e il vento agire nel ripulirmi, come un chicco di grano esposto al sole.
La Valle di Zoldo con i suoi ambienti e andamenti permette di vedere la montagna, di riabitare queste rovine naturali, di ascoltarle ancora immersi nella loro incredibile magia. Scoprila.
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Bellissimo post! 🙂 ci devo tornare!