Il Monte Pelmo è un meraviglioso monte, salito alle cronache negli ultimi anni anche grazie alle impronte di dinosauro contenute dalle sue rocce. Montagna “isolata”, circondata com’è da articolati ed ondulati versanti ricoperti da foreste. Accanto al Pelmo c’è la Civetta, altra nota e affascinante montagna dolomitica. A dividere queste due montagne Patrimonio dell’Umanità, un’incisione scavata dal Torrente Maè che da forma alla valle di Zoldo. Il Pelmo e la Civetta sono due testimoni che riportano tracce fossili di ambienti e raccontano assieme quasi 200 milioni di anni di storia del nostro pianeta.
Nello specifico sono monti perfetti per escursioni geologiche, in quanto raccontano l’evoluzione di una zona del mare della Tetide che si conformò durante il Mesozoico come un articolato golfo posto fra il Tropico e l’Equatore.
Ma è sul trono degli dei, il Pelmo, che mi vorrei soffermare. So che lo chiamano Caregon de ‘l Padreterno ma qui vorrei mantenermi su una visione globale, suggerita dalla dimensione del riconoscimento UNESCO: dunque gli dei sono plurimi e variegati, così tanti da sciogliere le loro immagini in un ancestrale spirito… che è di tutti, laici e atei compresi. Il Pelmo sa in qualche modo accogliere gli sguardi su di sé.
Il Pelmo, montagna ambita e scalata, montagna bellissima e severa, è capace di riassumere nel suo perimetro verticale diversificati ambienti morfologici a nutrire il concetto della varietà delle forme dolomitiche.
Quindi si può dire che il Pelmo ha diverse facce. Facce percettibili da tutti i punti di vista a lui rivolti, e capaci di imprimersi nel panorama delle singole impressioni in modo soggettivo. Impossibile non guardarlo, sia che si salga dalla valle del Boite, sia che si entri nelle Dolomiti dalla Val di Zoldo, sia che lo si incontri sbucando dal bosco in una tranquilla radura lungo uno degli innumerevoli sentieri di montagna della Val di Zoldo.
La verticalità del Pelmo è data in gran parte dalla sovrapposizione di decine di migliaia di strati dolomitici, disposti leggermente a conca, mediamente pseudorizzontali e volte inclinati.
In questa stratificazione imponente di dolomie e calcari si colgono dei dettagli. Essa poggia su una formazione rocciosa duttile, colorata di rosso/violaceo; per quasi tutta la sua verticalità, presenta una roccia con banchi di strato nettamente evidenziati da spigoli angolosi, e con colorazioni molto spesso rosate. Verso la cima, si notano delle differenze. La roccia appare più scura e severa, grigia con banchi di strato incarsiti ed arrotondati. Questo passaggio segna il limite fra la Dolomia Principale (Triassico) e i Calcari di Dachstain/Calcari Grigi (Giurassico).
La stratificazione contiene il tempo e procedere lungo gli strati, dal basso verso l’alto, fa muovere nel tempo… passando da strati più vecchi a quelli più giovani.
Sposto ancora l’attenzione su due parti di questo monte… la base e la parte sommitale. Nelle rocce affioranti alla base, si riconoscono tracce di ambienti di laguna, posta al livello del mare, percorsa da regimi di marea e da altri regimi di variazione del livello marino. Quindi una pianura ciclicamente invasa dal mare. In questo ambiente poterono depositarsi grandi spessori di strati di fanghi, sabbie e tappeti algali. In questi ambienti vagavano i primi dinosauri.
Il meraviglioso sito del Pelmetto fu il primo luogo in Dolomiti dove si scoprirono piste di impronte fossili, lasciate degli affascinanti animali triassici. Si pensa che qualcuno affondò le zampe in questi molli fanghi (ora di dura roccia), in un qualche giorno di circa 225 milioni di anni fa.
Lasciando la base per la sommità del monte Pelmo veniamo “sparati in su” nel tempo… le rocce ora parlano della fine del Triassico siamo circondati da banchi di strato dolomitici e più sopra calcarei. Siamo a oltre 3000 metri di quota, sulla cresta dello spallone nord-est, anche qui sono state trovate impronte di dinosauro, più giovani di quelle di prima: queste sono state impresse circa 200 milioni di anni fa… sono diventate famose in quanto sul podio fra i siti di impronte più alti in quota.
Sono tanti i primati inscritti nelle rocce del Pelmo che inducono, e hanno indotto nella storia, una curiosità indomabile. Fasciarlo con il proprio cammino, percorrendo i tratti di sentieri che ne circondano la base accompagnati da esperti di geologia e paesaggio… scalarlo approfittando di brave guide alpine fin in vetta, dormirci ai piedi appoggiandosi ai rifugi che si trovano, porta a immergersi nel tempo al cospetto di un mito delle Dolomiti Patrimonio dell’Umanità. Il personale bagaglio di esperienze fa qui il pieno di importanti riflessioni, dettate dalla meraviglia dei luoghi e dall’equilibrio dinamico che permea lo spazio. Il fascino del Pelmo è tale da aver smosso la sensibilità, la curiosità e il senso della scoperta in molte persone (e non solo) provenienti da tutto il mondo.
Scoprite dunque cosa ci fa un dinosauro di legno fra le crode di pietra. Si chiama Ebelis e se lo cercate sul web di sicuro ne troverete traccia. Una presenza contemporanea che va aiutata…. in quanto non trovando da mangiare sulla cima del Pelmo, vorrebbe tanto scendere ma non ha i soldi per pagare l’elicottero.
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