Gli Zoldani facevano i chiodi. Prendere minerale da queste Dolomiti e da quelle vicine è stata pratica diffusa e convinta nel passato di queste terre. Da ardimentose miniere si estraevano rocce capaci, se lavorate opportunamente, di restituire minerali di vario genere, dal rame, all’argento, al ferro. Le vene più pregiate servivano a forgiare le spade. Come ora, anche allora i guadagni cadevano su poche mani già concave per l’aver tanto accumulato. D’altro canto i troppi poveri vivevano di sussistenza, aggrappati a stagioni e terreni duri, dove nulla era scontato. Gente bellissima, ma segnata dalle fatiche e dalle privazioni. Fra le tante cose facevano i chiodi per tutti. Essere utili per tutti era uno dei loro saperi.
I chiodi di Zoldo sono stati piantati da martelli di tutto l’arco alpino. Testardi i chiodi di Zoldo, hanno unito travi di tetti orientati verso queste ed altre montagne, in alcuni casi sono finiti sulle navi o a “legare” altari finemente lavorati da scultori rinomati, che già realizzavano imprese commerciali in tutta Europa qualche secolo fa. Così testardi che poi si evolsero e finirono sotto i piedi, come brocche per le scarpe.
Testardi come gli Zoldani che, qualche tempo dopo, hanno fatto della loro confidenza con la neve uno stimolo a diventare produttori di gelati. Esperti negli impasti, ma soprattutto nel come conservare la neve fatta gelato, trasportandola a piedi, con il carretto, con le motorette e le biciclette, sui punti di vendita. Testardi che andarono lontano, a sentir lingue che si sentivano solo in tempi di guerra, ad imparare e a far gelati e commercio. Sembra proprio che abbiano piantato un chiodo con questo gelato qui a Zoldo.
Ora, dopo decenni di pochi zoldani in Val di Zoldo, si vive una rivitalizzazione da ritorno. Sempre più numerosi gli Zoldani con il chiodo fisso del gelato tornano, con l’idea e la pratica di ristrutturare casa, di aprire qui un attività, di venir qui ad invecchiare e a vivere. Alcuni cominciano a pensare che il chiodo fisso che andrà di moda prossimamente (di necessità si fa virtù) sia quello di tornare, carichi di idee e di voglia di contribuire. Magari con dei soldi da investire nell’orientare la Val di Zoldo ad essere un modello di turismo sostenibile e responsabile. Si può fare facendo leva sul riconoscimento Dolomiti UNESCO e facendo vivere ai visitatori, un esperienza di vita genuina ispirata dai luoghi, a chiunque venga voglia di confrontarsi con la bellezza dolomitica, come fosse una missione.
Per chiudere voglio condividere una frase di Erri de Luca, che conoscendo la montagna ma essendo nato sorridendo al mare dice: Non ho mai piantato un chiodo in montagna. Non mi sento autorizzato, sono uno di fuori, di passaggio. Mettere un chiodo è un atto di possesso, bisogna appartenere al luogo per sentirsi autorizzato.
Chi appartiene a questa montagna anche se per diversi motivi, pianti pure i chiodi che rassicurano il passaggio. Che mettano sicurezza ed aprano la strada.
TAGS: Comunità, Identità, Luoghi, Persone