La parola rifugio richiama alla nostra mente il concetto di riparo, protezione, posto sicuro ed anche piacevole dove, perché no, anche nascondersi, isolarsi … noi oggi abbiamo deciso di cercare nel Rifugio Bosco Nero il nostro rifugio.
Non tanto per necessità di riparo, ma di una piccola fuga dal quotidiano per ristorare anima e corpo.
E il Rifugio Bosco Nero ha tutte le caratteristiche che assicurano il successo della fuga:
bella passeggiata, sufficientemente faticosa da sentirsi gratificati nel raggiungere la meta, ambiente dolomitico di pregio assoluto, di vera montagna… e un vero rifugio che ci aspetta.
Si parte dalla diga di Pontesei appena prima di Forno di Zoldo, e da qui imbocchiamo il sentiero di salita a lato della frana che nel 59 scese riempiendo parzialmente la diga (anteprima non drammatica fortunatamente, di un brutto film vissuto poi con il Vajont). Invece di proseguire per il sentiero classico decidiamo oggi di salire per una via alternativa, forse dal sentiero non così comodo, ma sicuramente appagante per il panorama.
Circa a metà della salita abbandoniamo il sentiero principale per imboccare il sentiero con direzione la Calada, salendo così lungo un’altra frana caduta con l’alluvione del ’66, fino a giungere su un piano ghiaioso dove, andando a sinistra si sale appunto per la Calada, andando a destra (evidenti bolli rossi) si sale per un sentiero ripido inizialmente e poi pianeggiante nel bosco (si riprende il vecchio sentiero dei Strop). Lentamente il panorama si apre sul Gruppo del Bosco Nero, gruppo forse non tra i più conosciuti, ma che regala in realtà rare “emozioni dolomitiche”, la verticalità delle sue pareti, degli spigoli, lo strepitoso colore rosso che le rocce assumono al tramonto, l’isolamento… sensazioni e tipicità apprezzate da grandi rocciatori che su queste pareti aprirono vie di arrampicata di gran richiamo nell’ambiente alpinistico come lo Spigolo Strobel e la Navasa , o la KCF sulla Rocchetta Alta.
Il nostro rifugio per chi arrampica diventa allora davvero un Rifugio, come per chi decide di attraversare queste montagne a piedi con l’Alta via n°3 o l’Anello zoldano che passano proprio di qui.
Nella nostra fuga ci limitiamo a rimanere, come sempre, incantati davanti a tanta bellezza e con gli occhi felici giungiamo con la pancia affamata al rifugio, e quale miglior benvenuto sentir dire: “Stò mettendo su un risotto con i funghi lo volete anche voi?”…sì questo è proprio un rifugio!
Un rifugio che si distingue non solo perché non vi giunge strada, non ha teleferica per portare su i viveri di ogni giorno (quindi tutto a spalla), è piccolo e coccolo e nasce sugli antichi ruderi di una casera, ricovero e quindi rifugio di tempi passati, ma anche per un interessantissimo impianto sperimentale per la produzione di bioenergia mediante fitodepurazione e digestione anaerobica. Progetto coadiuvato dalla Fondazione Angelini – centro studi sulla montagna, l’Università di Padova e ovviamente la sezione CAI di Zoldo e Monica la gestrice del Rifugio senza la cui piena collaborazione il progetto non avrebbe portato ai risultati attuali.
Ed è infine grazie alla sua ormai trentennale gestione che questo è davvero un Rifugio dove andare a rifugiarsi per un buon piatto fatto sempre con passione, cime da non dimenticare, e per scoprire un esempio di rispettoso equilibrio con l’ambiente.
Buona salita!
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