Quanti tipi di sci alpinismo (e di sci alpinisti, ovvio) esistono? Quello classico, zaino pesante, levatacce e dislivelli tosti; quello race, scietti tipo fondo, scarponi (scarponi?) fru fru, tutina e casco anche in salita sotto il sole; quello “dal volto umano”, che vuole bei pendii sicuri da valanghe e belle curve, magari poche all’anno, ma da ricordare; e quello plaisir, che, mi sa, ancora non conoscete. Com’è? E’, appunto, piacere, ma dirlo alla francese suona ancora meglio. Diciamo che combina un po’ di tutti i tipi di sci alpinismo noti, ma aggiungendoci quel qualcosa…
Mi sa che invece di fare tante descrizioni teoriche un bell’esempio funziona meglio. Un itinerario tipo, dunque, proviamo.
Allora, niente levataccia, prima di tutto. Anzi, partenza dall’auto subito dopo pranzo (meglio leggero, però). A proposito, e l’auto, dove la lasciamo? Questa volta al grande parcheggio al tornante sotto Forcella Staulanza, direzione Val Fiorentina. Sbagliare è impossibile, anzi, il rischio è che le domeniche lo spazio non basti e si debba parcheggiare in fila lungo la statale. Dunque, partenza tranquilla verso il Rifugio Città di Fiume, per stradina battuta: il rifugio è aperto tutti i fine settimana e i periodi di vacanza. La salita richiede meno di un’ora e un po’ di attenzione a: famigliole che scendono in slitta, non sempre ben governata; continue torsioni del capo per guardare la parete Nord del Pelmo; sguardi di superiorità al ripido, ombroso e ghiacciato pendio che di fronte a noi porta a Forcella Val D’Arcia, e che ci siamo ben guardati dal salire.
Dunque, al rifugio, di pomeriggio, con la luce che… insomma, dai, si vede che non è mattina, è più dolce, calda, languida addirittura. Proprio quello che cerchiamo. Ma, per ora, niente mollezze e languori, siamo sci alpinisti o no? Dunque continuiamo, a monte del rifugio, per quel bel pendio che ci godremo in discesa, con belle curve sul prato (curve che cercheremo di far bene, ovvio, visto che c’è sempre qualcuno che guarda e che figura vogliamo fare? un po’ di impegno, suvvia). Giusto il tempo di imboccare il sentiero sempre battuto che porta verso Mondevàl e i suoi grandi pascoli (la sapete, la storia del cacciatore sepolto qui più di settemila anni fa e del suo ritrovamento? spero di sì) e giriamo a destra, sempre su prato, appena un po’ ripido. Ma con calma, tanto la traccia c’è già e la cima ormai si vede.
Cima?
Ah già, non l’ho ancora detto. E’ il vecchio, magnifico Col de la Puina, nome (puìna vuol dire ricotta) e quota non arditissimi, d’accordo, ma posizione e forme di grande eleganza. Ci avviciniamo, mentre la nostra larga cresta pian piano si restringe e, dopo un tratto orizzontale, sale decisa per l’ultimo centinaio di metri. Attenzione, ora. Bisogna assolutamente girarsi indietro, verso la Marmolada, per intenderci, e controllare l’altezza del sole sull’orizzonte. Questa determina il nostro ritmo di salita per la cima.
Se è inverno pieno, tipo vacanze di Natale, mi sa che bisogna correre e tirare le ultime svolte con il fiato un po’ in gola. Se è un bel pomeriggio di primavera, non c’è fretta e il ritmo sarà più tranquillo. In ogni caso, mentre saliamo, alla nostra sinistra si accendono migliaia di neon rosso arancio. Cioè, la sensazione, colta con la coda dell’occhio, è questa, ma basta girare appena lo sguardo per vedere che si tratta dei Lastoni di Formìn e delle Rocchette di Prendèra che si sono, letteralmente, accesi. Ma non fermatevi troppo a guardare, fidatevi. Ora la cresta è davvero stretta e solo chi ha una buona tecnica riesce a tenere gli sci ai piedi. Gli altri, sci in una mano, bastoni nell’altra e su veloci, per gli ultimi metri. Perché veloci? Perché ormai ci siamo, l’ora è quella giusta e il posto, il posto, semplicemente, è perfetto.
L’Antelao. La cima del Pelmo. Il Sorapiss. La Civetta. La Marmolada. Vi basta, come nomi? E devo ancora dirvi i colori e le luci. Anzi, non ci provo nemmeno. Vi dico solo che, sotto di voi, la valle del Boite è già in ombra da molto e i lampioni e le luci sono accesi. Che i boschi sono neri e il cielo ha quella tinta che in fondo non è colore, ma un sovrapporsi infinito di trasparenze. Ma le rocce, le rocce non tento di descriverle. Impossibile. Vi dico però che sarà l’Antelao a catturarvi e a non mollarvi, letteralmente, più. Continuerete a fotografare (inutilmente, vi avviso), aspetterete l’ultimo cambio di luce, tenterete di allontanarvi in discesa, finalmente liberi, ma dovrete continuamente ritornare sui vostri passi, per un ultimo sguardo.
Sarà il freddo, alla fine, a scacciarvi, non il buio, o la fame. La discesa fino al rifugio è divertente, va controllata con attenzione solo all’inizio. Ah, meglio evitare il pendio a Nord, invitante e ripido, ma non sempre stabile, e quello a Sud, ripido e con neve spesso dura, dove una caduta sarebbe pericolosa. D’altronde, è sci alpinismo plaisir, no? Planerete dunque sul rifugio con belle curve, dicevamo, sul prato, fino ai pochi scalini dell’ingresso.
Entriamo dunque nella bella sala, guance rosse e occhiali appannati, e non sediamoci troppo vicino alla grande stube rovente, dai, non siamo reduci da chissà quale impresa. Ora, non mi soffermo sulle delizie che i gestori vi proporranno, ve le lascio immaginare. Cucina dolomitica, vini veneti, dolci e liquori locali… Vi raccomando però autocontrollo, che appagati dalla fatica e esaltati da quello che abbiamo visto, avremo ben poche remore ad ordinare piatti e dosi davvero trasgressivi. Pericoloso, pericoloso. Va da sé che quando usciamo, sempre a malincuore, è buio. Che ci siamo fermati per uno spuntino lungo o per la cena completa ormai è notte e dobbiamo accendere le frontali. Anzi, proviamo a farne a meno, dai. Per mettere gli sci non ci sono problemi, c’è la grande luce del rifugio. Poi, avviati lungo la stradina, basta una piccola luna per rendere il percorso evidente.
Se la luna è bella grande invece, altro che frontale!
Potremo leggere le cenge sul Pelmo e i nevai della Civetta senza problemi, se non fosse che ogni tanto un’occhiata alla strada bisogna pur darla. Anzi, attenzione che qualcuno che sale anche al buio non si può escludere. Poi si sa che, in discesa, la frequenza e il raggio delle curve dipendono da tante cose, abilità esperienza, esaltazione del tempo e del luogo e, ehm, libagioni. Vedete voi. Se vi sorprendete a cantare da soli al freddo nel buio curvando al ritmo di un valzer che solo voi sapete, beh, niente di strano, capita spesso da queste parti, non c’è da preoccuparsi. E l’automobile arriva troppo presto, anche questa volta. Ma, è ovvio, la serata è ancora lunga, e dovrete ben celebrare la ricchezza e la magia del vostro pomeriggio. O no?
Seguici, sarà un piacere guidarti fra le nevi della Val di Zoldo: contatta le guide alpine.
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molto divertente Flavio! Grazie per il bellissimo racconto. Appena la neve si asesta un po andro a vedere anch’io quel bel tramonto.